“L’utero in affitto è osceno perché sottopone alla logica del profitto il corpo delle donne”. A sentire questa frase, ripetuta più e più volte in questi giorni, mi è venuto in mente un racconto tramandatomi da mia madre sulla mia bisnonna: lavoratrice in una fabbrica tessile, sotto quei turni massacranti che distruggevano le dita e il fisico, un giorno aveva sentito dei dolori lancinanti allo stomaco. Andata in bagno, aveva scoperto di stare avendo un aborto spontaneo. Cosa fece? Abortì, prese in mano quel fagotto proto-umano ricoperto di sangue, lo fece su nella carta, se lo mise in tasca e tornò alla propria macchina tessile a lavorare. Perché la macchina non aspettava, aborto o non aborto. Il turno di lavoro era il turno di lavoro, e così è, se si voleva mettere un piatto in tavola ogni giorno.
Perché questo ricordo? Per dire che sarebbe il migliore dei mondi possibili se la violenza esercitata dal dio denaro sul corpo delle donne fosse un problema sollevato dalla maternità surrogata. Ma questo non è il migliore dei mondi possibili, e la realtà è che il profitto, il capitalismo, hanno sempre esercitato questa violenza contro il corpo delle donne e degli esseri umani in toto.
Non è violenza sul corpo degli uomini quella che impone il lavoro massacrante nelle catene di montaggio delle fabbriche fordiste, nei fascinosi microcluster produttivi modello toyota, perenni fonti sorgive della produzione di massa che ha modellato il mondo in cui viviamo? Quante schiene spezzate stanno dietro allo smartphone da cui leggete questo articolo, quante dalla tastiera di me che lo scrivo?
La mercificazione del corpo delle donne è quella del corpo di tutti gli esseri umani: accorgersene solo perché riguarda l’utero è una simpatica meschina ipocrisia dettata da un’etica deviata secondo la quale il corpo di una donna è solo il suo organo genitale, insomma è sempre la donna solo nella sua dimensione sessuale. Logica sacralizzante e pruriginosa allo stesso tempo, secondo quel binomio imposto dalla visione patriarcale della donna come santa o come puttana, spesso entrambe, incorporato dall’etica comune.
Lo scrive benissimo Michela Marzano (Deputata di un PD che evidentemente non merita la sua intelligenza): La gestazione per altri scandalizza in modo oltraggioso l’etica comune perché scardina uno dei corrolari fondamentali del patriarcato: mette in luce che «il punto fondamentale è che non c’è coincidenza tra il mettere al mondo un bambino e la maternità», recuperando la dimensione fisica il corpo della donna in quanto totalità di carne, ossa, tessuti, neuroni, non è coincidente né riducibile al suo utero, al suo apparato riproduttore. «La maternità è un ruolo, la responsabilità assunta nell’essere madre», non un conseguenza ferrea del parto, e queste donne che decidono di gestare bambini col patrimonio genetico di altri, di partorirli e poi separarsene, rompono questo falso sillogismo.
Le donne che decidono di farlo. Stranamente, o forse no, sono state loro le grandi assenti dalle discussioni di questi giorni. «Perché nessuno pensa ai bambini?» (cit.) si è sentito tuonare ovunque. «Perché nessuno pensa a queste donne come adulte autodeterminate?» Chiedo io. Se vengono citate, sono costrette nel ruolo esclusivo di vittime impotenti della violenza dei ricchi. Non è concepibile che tu, donna, possa impiegare il tuo sesso, il tuo utero, per lavorare, a meno di non essere costretta per fame. Anche questo è un odioso corollario del patriarcato. Se lavori col tuo utero, con il tuo sesso, sei di diritto una «puttana». Ma giacché tutte le donne dovrebbero naturalmente desiderare di essere «sante», ogni «puttana» deve necessariamente essere tale per costrizione.
Intendiamoci bene, la costrizione esiste. Lo sfruttamento esiste. L’oppressione esiste. Autodeterminazione non è libertà incondizionata, potere demiurgico. Autodeterminazione è decidere di cosa fare del proprio corpo, dunque decidere come agire ed interagire nella realtà, sotto la coltre opprimente del biopotere. E’ la merda del capitalismo, baby. E’ la merda del lavoro, baby.
Dunque: Abolire la gestazione per altri, o abolire il lavoro?
Alessandro Gerosa