Che ci fanno un muro contro i migranti, un governo xenofobo e un festival musicale libero e multietnico tutti insieme nello stesso posto? Tutti in quell’Ungheria targata Orban che in questi giorni prova, fortunatamente con scarso successo, ad arginare il lungo viaggio dei profughi siriani verso nord spiattellando muri, fili spinati, proclami e svastiche contro chi comunque non s’arrenderà, contro quegli eroi del nostro tempo, a piedi nudi e senza niente, che continuano imperterriti a camminare verso un sogno che inaspettatamente si chiama ancora Europa. Ebbene muri, xenofobia e musica stanno lì tutti insieme perché lo Sziget in realtà non è solo un evento musicale, ma un luogo palpabile che trasforma l’isola di Obuda, a due passi da Budapest, in un posto magico dove le diversità non esistono. Lì trovi chiunque, da ogni parte del mondo, ricco, povero, alto, basso, bello, brutto, bianco, nero, gay, etero, non fa differenza alcuna. Più che altro non viene in mente a nessuno che esseri umani legati da un qualsivoglia interesse comune e dalla voglia di scoprire, conoscere ed esplorare possano essere omologati ad una definizione, sociale od economica che sia… no, non frega niente a nessuno. Ci vuole coraggio a mettere cinquecentomila persone su un’isola ad ascoltare musica ventiquattrore su ventiquattro al’insegna della libertà mentre poco più là si sta costruendo un muro. Mettere la libertà massima di espressione, che è quella appunto della musica e della multietnicità, faccia a faccia col razzismo significa aprire una breccia. Chi ha organizzato lo Sziget non s’è nascosto, ha lottato, così come chi vi ha partecipato. Gli organizzatori hanno piazzato una bomba di colore e libertà nel bel mezzo di un mondo che sta diventando sempre più buio e preda degli istinti più bassi di discriminazione. Hanno previsto piattaforme sociali su vari temi, spazio per cibo e culture da ogni angolo del mondo, luoghi dove lasciare generi di prima necessità per quei disperati che stanno al di là di quel maledetto muro ad aspettare un segno, un cenno. Immagino la stessa cosa da noi. Immagino mettere in piedi un luogo del genere qui in Italia. Immagino le polemiche, le paure, le valutazioni del rischio, l’ordine pubblico, la sicurezza, i black block, gli anarchici, Alfano, le piaghe d’Egitto, il Tg5 e via discorrendo. Beh allo Sziget, mondo libero con regole di libertà (lo so è difficile da immaginare), non è successo un bel niente, un tafferuglio, una criticità, nulla. E’ successo solo che quel buio di cui prima è stato illuminato a giorno da un’esplosione di colore, fratellanza e libertà, è successo che le bandiere israeliane e palestinesi erano vicine, è successo che gli stessi disperati dall’altra parte del filo spinato per qualche giorno si sono sentiti meno soli. Ecco credo che la cura al razzismo, all’intolleranza e alla cattiveria esista. Si chiama “viaggio”, inteso come la volontà di guardare al di fuori di quelli linee immaginarie chiamate confini, di conoscere elementi nuovi provenienti da luoghi lontani, di vivere altre culture per amare la propria. Con la musica a fare da collante, come in ogni viaggio che si rispetti.
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